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Per capire bene che impatto ha la moda sul mondo vi racconteremo solo alcuni dei cavilli di questo sistema. Vi consigliamo vivamente di guardare alcuni documentari come “The True Cost” dove ci raccontano tutto quello che c’è dietro a un vestito: “Questa è una storia sull'abbigliamento. Riguarda i vestiti che indossiamo, le persone che li producono e l'impatto che sta avendo sul nostro pianeta. Il prezzo dell'abbigliamento è in calo da decenni, mentre i costi umani e ambientali sono cresciuti notevolmente. The True Cost è un nuovo film documentario innovativo che apre il sipario su una storia non raccontata e ci chiede a ciascuno di noi di considerare “Chi paga il prezzo dei nostri vestiti?”.
Già partendo dalla coltivazione delle fibre per i vestiti possiamo vedere l’enorme impatto ambientale. Ad esempio, dato che proviene da una pianta si pensa che il cotone sia puro e naturale: la verità è che c’è ben poco di puro o di naturale nel cotone tradizionale. Pensate che la produzione di una singola camicia in cotone può richiedere fino a 2.700 litri di acqua. Ogni anno vengono riversate sui campi migliaia di tonnellate di sostanze chimiche: gli impatti negativi sull’ambiente includono pertanto la riduzione della fertilità dei suoli, la loro salinizzazione, la perdita di biodiversità, l’inquinamento delle acque, i problemi che derivano dall’uso smodato di pesticidi e fertilizzanti e la veloce diffusione del cotone OGM. Ogni anno ci sono 350.000 decessi di agricoltori a causa dell’utilizzo eccessivo dei pesticidi! Per non parlare delle tinture, o delle conce delle pelli, entrambi i procedimenti portano a riversare nei fiumi grandissime quantità di sostanze chimiche causando malattie a chi ne sta a stretto contatto tutti i giorni, senza alcuna precauzione. Queste tinture e sostanze chimiche poi ce le portiamo sulla pelle tutti i giorni, e con i lavaggi si distribuiscono nell’acqua inquinandola.
Chi produce abbigliamento nei paesi sottosviluppati si trova costretto a offrire prezzi bassissimi pur di lavorare; questo mercato al ribasso è diventato poi una ghigliottina per gli operai che lavorano nelle fabbriche, costretti a lavorare fino a 16 ore al giorno... spesso le famiglie pur di mettere qualcosa sotto i denti sono disposte a far lavorare anche bambine piccole, molto ben volute per la manualità.
Ma poi tutti questi vestiti dove vanno a finire? Tantissimi vengono acquistati, ma spesso mai indossati. La produzione è talmente veloce che alcuni brand si trovano costretti sul invenduto a bruciare i capi pur di non pagare le tasse a bilancio dell’invenduto. E invece i nostri vestiti che non mettiamo più che doniamo alla caritas o che buttiamo che fine fanno? Purtroppo non tutto quello che doniamo alla caritas arriva a persone bisognose, ma una buona parte arriva nei paesi del terzo mondo per essere venduti a 2 soldi, e fare concorrenza ai piccoli sarti dei villaggi, l’assurdità è che i capi vengono spesso prodotti in questi paesi, e vengono a “morire” in questi paesi; infatti tutti i capi non indossati creano tonnellate di discariche.
L’industria tessile occupa, infatti, circa il 5% delle discariche globali. Inoltre, l’abbigliamento che viene gettato in discarica è spesso costituito da materiali sintetici o inorganici che non si degradano completamente. Ogni anno, le discariche di tutto il mondo inceneriscono 12 milioni di indumenti e le loro emissioni di Co2 contribuiscono in maniera sostanziale all’effetto serra, tant’è che l’industria tessile a livello di inquinamento è seconda solo al petrolio. Dal 1960 al 2015 c’è stato un record di rifiuti tessili con un aumento stimato dell’ 811%. Solo nel 2015 sono finiti in discarica 1630 tonnellate di vestiti. Si stima che ogni persona, ogni anno, consumi 34 vestiti e ne butti 14 chili. E poco ci consola il fatto che molte tonnellate siano state riciclate, perché le cifre continuano ad essere scandalose.
Questo è in parte quello che c’è dietro alla tua semplice t-shirt acquistata a 5€.
2011, con Beijaflor nasce un brand di moda che va controcorrente, una moda che rispetta l’ambiente, gli animali e le persone; per noi è stato naturale che fosse così, forse quasi incoscienti di come invece procede il mondo industriale. Nella moda veloce ci sono regole non scritte che ti costringono a tagliare sui costi, a fare uscire una collezione quasi ogni settimana; un sistema di consumismo che poi porta solo al consumo di noi stessi, del nostro pianeta e degli abitanti che ci vivono insieme a noi. La nostra linea nasce non per contrastare la fast-fashion, ma dal desiderio di creare qualcosa di meraviglioso da indossare per portare con sé il beneficio delle piante, in maniera allegra e gioiosa.
Siamo partiti scegliendo materiali pregiati e che facessero bene al nostro corpo, come se dovessimo scegliere del cibo per nutrirci attraverso l’organo della pelle. Da subito abbiamo deciso di cercare dei tessuti biologici, che rispettassero le persone, gli animali e la natura. Ci sarebbe sempre piaciuto seguire in prima linea l’intera filiera, ma non è stato possibile a livello logistico, però siamo riusciti a creare una rete di persone con un intento comune e a portare un’alternativa nel mondo della moda. Così ci affidiamo ad un rivenditore Tedesco per la seta, che è in continuo e stretto contatto con i produttori in India e affidiamo parte delle nostre tinture a un’azienda Umbra che tinge con le piante. Per la produzione in argento ci affidiamo ad un’azienda in Toscana. Mettiamo poi insieme queste arti con la nostra, le piante… ed ecco che nasce la magia!
In azienda è Giulia che si occupa di tutta la produzione di Beijaflor: le sue mani abili creano, tingono e ci sorprendono, perchè ogni accessorio è unico, con una sua storia.
Penso che ognuno di noi abbia almeno un capo di H&M o Zara, è normale e non dobbiamo sentirci in colpa per questo; ma quindi se vogliamo contrastare questo mondo che ragiona solo per quantità e per profitto, cosa possiamo fare realisticamente?
Guarda il tuo armadio, dividi i capi che realmente indossi da quelli che non indossi o non ti valorizzano. I capi scartati avranno la possibilità di avere una nuova vita, le possibilità sono svariate: puoi modificarlo e farlo diventare un capo nuovo, oppure magari a qualcun altro potrebbero servire; organizza degli scambi, o mettilo in vendita su piattaforme come Vinted, oppure puoi rivolgerti a un negozio vintage. Butta il capo solo se proprio è finito.
Partiamo da fare acquisti più consapevoli, cerchiamo di prediligere 1 maglia che costa di più, ma che ci dura ed è di buona qualità invece che 5 a basso costo, magari con una fantasia che abbiamo scelto solo perchè all’ultima moda. Non è questione di spendere più soldi ma fare semplicemente acquisti giusti. Ci sono ormai tante realtà di moda etica le puoi trovare cercando su internet, oppure controlla da chi già acquista se fa qualcosa di sostenibile. Un altro consiglio è quello di capire quali sono i tuoi colori, in modo da acquistare capi che ti valorizzano, e non essere quindi tu che segui alla rinfusa la moda... creati la tua moda, il tuo stile, quello che ti fa sentire bene! A volte i migliori acquisti sono dagli armadi di zie, mamme o nonne: nei loro armadi potreste trovare delle perle nascoste... i vestiti di una volta sono di altissima qualità, e basterà affidarsi una sarta di fiducia per dargli nuova vita e renderli più moderni.
La definizione Ethical Fashion o Moda Sostenibile inizia a mettere piede nelle nostre vite a partire dal 2013 quando a Rana Plaza, a Dhaka, in Bangldesh, crollò un complesso produttivo con la morte di 1.133 persone. Dopo questa scandalosa vicenda nasce “Fashion Revolution”, un movimento contro gli sfruttamenti delle persone, l’inquinamento e tutto quello che c’è dietro al mondo della moda, che ha come obiettivo quello di rendere chi acquista consapevole, e insieme fare rumore per un cambiamento.
Ogni anno durante la Fashion Revolution Week potrete conoscere e approfondire diverse aziende, designer e artigiani che operano nel bene della persona e dell'ambiente.
Vuoi entrare a fare parte attiva di questo moviemento? CLICCA QUI! Unisciti a noi e indossa un indumento al contrario, scatta una foto e postala sui social chiedendo ai brand “Chi ha fatto i miei vestiti?” utilizzando gli hashtag: #WhoMadeMyClothes #FashionRevolution #WhatsInMyClothes.
“La bellezza salverà il mondo.”
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