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In questo approfondimento descriviamo nel dettaglio la preparazione dello Spirito degli Alberi in modo che ognuno possa cimentarsi con successo. Con l’invito a farlo, magari con l’albero preferito.
È un’esperienza che collega intimamente con gli alberi, gli elementi della Natura e le stagioni. Anche solo per questo vale la pena farla. Per noi è sempre stato importante condividere le nostre esperienze e il sapere acquisito. Come gli alberi, che condividono tutto. Nell’era nuova che seguirà questa fase oscura dell’umanità la cooperazione sarà la normalità e qualsiasi sapere apparterrà alla collettività. Abbiamo ricomposto il corpo dell’albero presente nei suoi organi, nei suoi cicli, nelle sue massime espressioni vitali. La terra della corteccia, l’acqua della linfa, l’aria che sboccia nei fiori, il calore del fuoco condensato nei semi. Poi un corpo sottile dell’albero: una specie di esalazione chiara catturata durante le notti di plenilunio, l’etere.
L’intento dei preparati è quello di rappresentare l’intero corpo dell’albero come espressione di perfezione e armonia compiuta in sé, capace di colloquiare agevolmente con i nostri rispettivi corpi. Per questo sono cinque le parti che compongono la madre di uno Spirito.
In questo elemento abbiamo cercato la rappresentazione dell’albero minerale, la sua parte più rocciosa. Le radici, in effetti, avrebbero una buona relazione con la Terra, ma il loro movimento, l’attinenza forte con l’acqua (la linfa) e il fatto che siano nascoste e così utili per la pianta non ci sono sembrate adatte per la raccolta, che desideriamo sia gradevole anche per chi è raccolto. Andare a rovistare nelle radici di una pianta, tanto più se è un albero maestro e secolare, è come aprire una scatola cranica e manipolare il cervello. D’altro canto anche il fatto che sia così materialmente difficile raccogliere le radici ci fa considerare questo atto da tenere per situazioni eccezionali. In effetti è proprio nella profondità delle radici che gli alberi in pieno inverno entrano nel cuore della Terra e da lì si tuffano nel Cosmo a ricontattare l’idea che l’Universo mantiene di loro e per loro. Una sorta di ritorno alla fonte, di riprogrammazione.
Invece la corteccia, specialmente di esemplari maturi, ha tutti gli attributi per rappresentare la Terra. La chioma degli alberi si siede sui tronchi che nelle loro cortecce raccontano il loro stare nel tempo, mostrano graffiti, allevano piccole colonie di quelle antiche forme di vita vegetali quali licheni e muschi e, a volte, si fanno terra, tanto da accogliere semi di altre specie che radicano e crescono uno sulla corteccia dell’altro.
Quando Rudolf Steiner dice che “gli alberi sono evaginazioni della Terra” lo vediamo bene nel periodo invernale, quando gli alberi, spogli e silenziosi, addormentati e fermi, stanno nel loro elemento, le cortecce sono nel pieno della forza e del potere di comunicare le loro virtù e la loro missione. Spesso ruvide, rugose, si desquamano e si corrugano mostrando con fierezza la loro storia. Rughe di bellezza che si fanno porose, quasi polvere con la vecchiaia. Sono cenere le cortecce dei vecchi alberi, un concentrato di vita che si ricorda. Perduto il turgore rimane la struttura, il minerale. Ricche di minerali appunto, di tannini, di sostanze fredde e ferme, dei nostri alberi raccogliamo le cortecce in rappresentanza dell’elemento terra. La parte esterna, grattugiandola con cura dai tronchi o raccogliendone scaglie, così com’è, densa di storia e con addosso segni di vita, come muschi e licheni.
La corteccia va poi bollita, in buona acqua, in una lenta e prolungata decozione che riporti all’acqua gli umori di un tempo. Decozioni di ore che portano nell’aria profumi di stagioni e sapore denso di vita. Un concentrato di tannini, sali minerali e sostanze coagulanti le proteine, ora divenute solubili. Questa densa terra nutriente, diventata liquida, si filtra, e poi viene disciolta in una pari quantità (in volume) di miele. Occorre mescolare bene per sciogliere completamente il miele. Il miele rende un po’ più “animalizzata” la terra-vegetale, qual è la corteccia, e quindi veicolata meglio verso il regno umano, cioè meglio assorbita e assimilata. Per garantire la conservabilità si aggiunge il 10% in volume di alcool puro.
Il sapore di questo preparato riporta al palato le qualità dell’albero con forza. Sapori decisi del bosco, come se la Terra fuoriuscita dal suo stesso grembo fattosi albero tornasse di nuovo a essere nutrimento prediletto del corpo. La preparazione rimane attiva nel tempo, se ben conservata al buio e nel vetro.
Per rappresentare l’elemento acqua abbiamo scelto le gemme, il cui gonfiarsi è la prima manifestazione della linfa che in primavera comincia a salire. È la linfa carica delle forze lunari a far sì che le gemme degli alberi escano dalla loro quiescenza, dal sonno limbico, che siano riportate in vita, cariche di promesse. È questa linfa grezza, pescata dalle radici nella terra fredda dell’inverno, che, rigenerata e attirata verso l’alto dalla luna di primavera, ricomincia la danza della vita. Da secche, asciutte, appuntite, le gemme si fanno lunari e acquose, turgide, morbide, succose e cariche di umori. Protette dalle loro perule nascondono il nuovo inizio con progetti già distinti di foglie e rami, fiori e sacche polliniche.
Nella gemma l’albero ci rende chiaro come il ricominciare sia un’espressione di fiducia data al fanciullo, all’organo che non ha differenziato tessuti e quindi funzioni, ma che ancora vive nella pura energia potenziale.
La raccolta delle gemme va effettuata in ascolto, nel momento di massimo turgore, lasciando che le gemme cadano direttamente nel contenitore di vetro. La miscela, o solvente, a cui chiediamo di interpretare il messaggio delle gemme e di portarlo a noi, è una miscela di alcool puro e miele oppure di alcol e glicerina vegetale, nel rapporto di 1:1 in peso. Il miele o la glicerina entrano in risonanza con tutta la forza debole del principio vitale racchiuso nel tessuto meristematico della gemma, e mi riferisco a sostanze ormonali, vitamine, enzimi e altri principi.
Se usiamo il miele è buona regola preparare il solvente un po’ di tempo prima della raccolta e mescolarlo bene per permettere ai due elementi di sciogliersi l’uno con l’altro. Le gemme vanno fatte cadere direttamente nel vaso, lasciato poi per circa mezz’ora ai piedi di alcuni esemplari per impregnarsi di tutto il canto della linfa che fluisce verso l’alto. Non ci sono rapporti da eseguire in queste preparazioni, è la nostra sensazione che dice quanto può bastare. La soluzione con le gemme viene messa in un posto buio a macerare per almeno due lunazioni. Poi si filtrerà il tutto e si procederà a imbottigliare in vetro scuro.
Le gemme cambiano tanto da specie a specie. È fantastico osservarle da vicino, vedere le geometrie con cui le perule si addossano l’una sull’altra. Sentire come alcune si ricoprano di cere protettive e come invece lignifichino altre. Più la parte esterna è dura e coriacea, più spesso all’interno si nasconde tenerezza e impalpabilità. Le gemme di Faggio ne sono un esempio. E anche i profumi, sublimi e primaverili, amarognoli o dolcissimi e oleosi, come le rotonde gemme di Tiglio. Le gemme sono molto delicate, anche l’albero è in un momento delicato quando rigonfia le gemme. Occorre avvicinarsi con tanto garbo e sentire da chi possiamo raccogliere. In questo sincronismo, partecipiamo all’atto potente della vita che viene risvegliata e dalla luna mossa al fluire, tanto da permettere al nuovo principio di manifestare la primavera.
Anche negli alberi c’è un momento per il fiore, che di solito coincide con un tempo di abbondanza e turgore. Il Tiglio fiorito è il punto di incontro dove tutta la manifestazione estiva si celebra. Profumo esalato nell’aria, tutto quell’ubriaco raccogliere di api ebbre di dolce. Il ricamo dei fiori che, protetti dalla brattea, si confondono fra le foglie di lucenti cuori. E che ombra speciale, che riposi ristoratori, che risvegli dolci, appoggiati ai Tigli, con le mani che accarezzano i tronchi lisci. Al calar del sole poi, quando la maggioranza delle api torna a casa, anche se ce n’è sempre qualcuna che sviene sui grappoli fioriti e lì passa la notte, all’aria viene permesso di assorbire il profumo speciale che si muove in nuvole ed entra nel cuore delle persone, dove mette le ali.
E i fiori del Nocciolo, tutta un’altra storia, un altro tempo. I fiori sono separati, quelli maschili e quelli femminili, anche se si trovano sulla stessa pianta. I fiori maschili si chiamano amenti e sono dei vermicelli verdastri nel pieno dell’inverno. Quando la terra è ancora umida e fredda ma l’aria già un po’ asciutta attraversata dai primi tiepidi raggi di sole, l’essere del Nocciolo, con grazia e flessibilità respira largamente l’aria illuminata mentre l’acqua liberata con il disgelo risale da tutte le parti. Così gli amenti si aprono in nuvole di giallo polline che ricade su gemme appiattite con un ciuffo rosso in capo. Stanno vicini alle gemme vegetative, ancora sui rami spogli, a volte lasciati di stucco da una nevicata tardiva. Sono i fiori femminili, un tocco di rosso purpureo che accoglierà nel suo ventre il sole preannunciato. La fecondazione vera e propria arriverà molto più avanti, quando il sole di Aprile e i canti d'amore degli uccelli avranno ricoperto di foglie il Nocciolo. Il fiore femminile accoglie dentro di sé il polline e lo mantiene per settimane, mesi a volte, per far sì che la fecondazione vera e propria avvenga quando tutto è al sicuro ed è certo il sole primaverile.
Con la fioritura, gli alberi decretano il loro ingresso nella completezza e instaurano i legami con l’esterno e gli altri regni. Un albero esce dalla sua fanciullezza con le prime fioriture. Come si aprono alle relazioni durante questo periodo! Ho davanti ai miei occhi le Querce ammorbidite dal giallo pendulo di amenti delicati e dal curioso piumaggio di minuscoli fiori femmina che si lasciano trovare sulle cime dei rami, ai piedi dei piccioli delle foglie. Le nuvole gialle liberate nell’aria da Cipressi e Pini, lo straripamento della fioritura dell’Olmo prima di ogni evento vegetativo sul finir dell’inverno.
Penso alla delicata presenza dei fiori del Melo selvatico, in equilibrio armonico di forma, colore ed essenza, un sogno che si fa lucido e potente, o alle fioriture stracariche del Ciavardello, che col suo odore particolare e acidulo attira cetonie da ogni dove che satolle stentano a riprendere il volo. Ancora davanti agli occhi la vistosa decorazione dei rami grigi dell’Albero di Giuda con fiori rosa, raggruppati in morbidi grumi a ricoprire di dolcezza e compassione i suoi rami spogli.
Quando l’albero è in fiore entra in un particolare stato di comunicazione e apertura con il mondo, allarga le sue braccia e dal palmo delle sue mani, nell’abbondanza del suo polline, ridona una parte di sé con gratitudine alle porte dell’Universo. Con il fiore l’albero comunica meglio con la nostra parte emotiva, con la nostra intelligenza emotiva, e nutre la nostra capacità di sognare, immaginare, ascoltare, sentire. Nel fiore, l’albero promuove una sorta di sintesi equilibrata delle sue funzioni, del suo carattere.
L’indurita, ispida e impenetrabile Acacia si scioglie in bianca dolcezza con la sua fioritura, che sbrodola in nettare, che rimarrà fluido in eterno. Lo statico Faggio ha una fioritura che sembra un soffio, un’espressione effimera e fuggevole. La tenerezza del Larice, che intimidisce nel suo tenero verde, si consolida con i suoi rossi fiori femminili che stanno con presenza a fortificare la giovane vita che si mostra. Seguiamo le originali indicazioni di Edward Bach per la preparazione. Andiamoli a trovare al mattino presto gli alberi maestri, per chiedere loro di darci un po’ di fiori prima che siano troppo affaccendati. La raccolta viene fatta sulle piante più rigogliose e con i fiori nel bel mezzo della fioritura. Non vanno toccati direttamente con le mani per non includere nel loro campo energetico e fisico altre informazioni. Le forbici pulite sono un buon mezzo. Possiamo adottare, a secondo della specie, il metodo solare o di bollitura. Si tagliano i fiori con delicatezza e si lasciano adagiare sull’acqua di una sorgente vicino al luogo di raccolta con cui abbiamo riempito a metà una ciotola o una casseruola di vetro. Riempito bene lo specchio dell’acqua con i fiori, possiamo aggiungere altra acqua fino all’orlo. Nel caso della solarizzazione posizioniamo la ciotola sul terreno in vicinanza delle piante. Ora gli elementi terra, acqua, aria e fuoco (sole) interpreteranno questa potente alchimia, capace di raccogliere l’informazione del fiore. Il tempo di esposizione al sole, in modo diretto e continuativo, va dalle due alle quattro ore, a seconda della stagione e del fiore stesso. Nel caso della bollitura, si pone, sempre nel luogo di raccolta, la casseruola su un fornello a fiamma diretta e si procede a una lenta ebollizione per 30-40 minuti. Poi si lascia raffreddare. Quindi si filtra l’acqua di infusione o bollitura e si aggiunge pari quantità di grappa, per mantenere il messaggio del fiore inalterato per un lungo tempo. Si conserva il tutto in una boccetta ben chiusa al buio.
Quasi tutti i semi conservano riserve, sotto forma di amidi e grassi che servono alla giovane plantula per nutrirsi. L’olio concentrato nei semi è un ottimo combustibile e ci permette, bruciando in un brillante fuoco, di evincere chiaramente la sua natura. Se non sono ricchi di olio sotto forma di sostanze grasse, come nell’Olivo, nel Noce o nel Mandorlo, i frutti-semi si caricano di oli eterei, ancora ricchi di un fuoco puro, come nelle bacche aromatiche di Ginepro o Cipresso. Prima di entrare nel regno del silenzio, l’albero si spoglia di tutto e lascia il futuro a piccole “bombe”, concentrati di vita, che andranno a espanderlo nel mondo, trasportate da vento, acqua, animali. Ogni albero sceglie il suo modo. L’Acero, amante dello spazio, prende il volo nel suo piccolo seme grazie a vere e proprie ali, che lo porteranno a incidere l’aria in spirali e vortici prima di posarsi sulla terra. Gli spigolosi semi del Faggio, una volta liberi dal cappuccio che li contiene, si fanno nutrimento per gli abitanti del bosco in tappeti scuri ai piedi della chioma. Le ghiande della Quercia perdono, se lasciate in acqua, il loro rigore fatto di tannini e sostanze amare, per liberare il dolce del loro nutrimento. Il seme ci appare come un sasso, apparentemente morto. Un seme in riposo appunto, trasformatosi a sembrare quasi più un rappresentante del regno minerale, che compie il miracolo di ridarsi alla vita o di ridestare la vita in sé. E quanta coerenza in questa sua capacità di ridare la vita, rispettando la forma di cui è messaggero. La morte, nel seme di Acero, lo spinge a riconoscersi ancora e sempre di più in un Acero.
Ogni seme è confinato alla sua morte da inibitori della germinazione. Chi può togliere il seme dalla sua morte apparente? L’elemento della vita: l’acqua, carica della forza lunare. L’acqua dilava le sostanze paralizzanti, rigonfia i tessuti, fa ripartire la vita. C’è un momento bellissimo e potentemente sconvolgente che avviene nel seme, subito dopo la sua morte e poco prima che la vita prenda forma. È un momento in cui tutte le sostanze di riserva si semplificano in forme più elementari, per esempio gli amidi in zuccheri, le proteine in aminoacidi, i grassi in acidi grassi e glicerina. Tutto diventa puro caos, niente è più differenziato, e diventa puro potenziale. La vita nasce da questo caos. La forma si organizza a partire da questa mancanza di differenziazione e forma assoluta.
Il messaggio del seme quiescente, così come lo raccogliamo dagli alberi nella sua piena maturità, è l’espressione di tutta l’evoluzione della vita che ha preso forma in quella specie di albero. È tutta la sua storia in codice. Uno fra i tanti codici con cui la vita andrà poi a manifestarsi. Nel seme è registrato tutto il cammino che quella specie ha fatto per arrivare a mostrarsi così com’è. L’albero dona al futuro la sua esperienza. Quando incontriamo i semi o li teniamo a danzare dentro le tasche, teniamo con noi il calore del fuoco.
Per queste caratteristiche il seme-albero gradisce alcool etilico puro come solvente, in cui si mettono a macerare i semi/frutti interi, con tutti gli organi che gli sono propri. Per esempio, la castagna nel suo riccio, il Mandorlo con il suo mallo, il semino alato nella sua pigna. La macerazione è bene che avvenga per un tempo di 2 o 3 mesi, il tempo necessario affinché il solvente entri fino nella profondità dei tegumenti e qui possa informarsi, portando via con sé principi di forma, sostanza e vibrazione. Tutta questa coerenza che l’albero mette a disposizione nel seme è materiale di grande nutrimento anche per il corpo umano. In particolare per tutte le ghiandole endocrine, che sono semi sparsi nel nostro territorio corpo, anch’esse capaci di possedere i codici che permettono alla vita di manifestarsi e prendere a essere.
Di sera, finito il gran da fare del giorno, anche gli alberi si riposano. Diventano grandi, allungano le loro chiome, affondano le radici nel terreno e da lì si fanno maestri. Suscitano leggeri fremiti e la loro visione placa l’animo. Di notte, silenziosi più che mai, ti vengono incontro ed esalano la loro saggezza e la loro potenza con un sussurro delicato. Di notte, quando il fare si placa, quando i colori si ritirano nelle pareti delle palpebre e tutto lo spazio del sentire si fa largo, di notte, così, arrivano a noi con abbracci e melodie. Quando cala il sole, e la foresta di Abeti si accende di spicchi rossi, nei boschi si apre una percezione, la concretezza si solleva da terra e lascia il posto a un canto d’unisono che ubriaca e confonde i sensi. Che bello essere accompagnati da questo senso di gratitudine che rimane come unico colore. Tutto si riappropria di senso in questo lattiginoso ed espanso stato. Questo sogno è una realtà potente. È durante queste notti illuminate dal plenilunio che gli alberi imprimono al meglio la loro essenza all’acqua, quell’essenza, quella frequenza, quel suono, quell’idea che viaggia e sta nell’etere. Le nostre ciotole di vetro contengono acqua pura. Sono poste sui rami della prima biforcazione di grandi tronchi, ai piedi di colonne delle foreste sacre, nel cuore protetto di un folto Cipresso, nell’incontro del gioco di rami di un Ginepro femmina con il suo consorte maschio, in quelle insenature, in quegli ombelichi, in quelle intime fossette che i corpi dei grandi alberi maturano col tempo.
Di sera ci sono poche distrazioni e l’immaginazione è più veloce del ragionare. Noi, come fanciulli, incontriamo gli alberi. Le parole, anche fra di noi, non servono. Rispetto alle preparazioni diurne, quelle notturne permettono un contatto molto più lucido con la pianta, il luogo e gli esseri del luogo. Una volta individuate le piante giuste e posate le ciotole, ci ritiriamo. Il nostro compito è breve, ora è nella mano della notte ciò che esala dagli alberi e che, nell’acqua illuminata dalla Luna piena, si imprime. Al mattino, prima dell’arrivo del sole, ritorniamo ai piedi dei narratori di storie per raccogliere l’acqua. La filtriamo sotto l’albero, e, con un bel “grazie”, chiudiamo il tappo delle preziose bottiglie, riempite per metà. Le riempiamo completamente dopo, a casa, aggiungendo alcool puro per la conservazione. Gli alberi stanno davanti a noi soddisfatti, e noi di fronte a loro riconoscenti. Poi, a un certo punto, ci dobbiamo allontanare, ma non è facile. Siamo entrati nella loro vita, e loro nella nostra, come succede con i migliori amici. E quante volte torniamo da loro con i nostri pensieri! Nelle tempeste di neve a domandarci come staranno, o con la gioia delle gemme che si aprono a sentire il buon odore di umido e frizzante. “Come staranno le cinque sorelle del Trentino?” che sarebbero, anzi sono, le Sequoie giganti, di nome e di fatto, portate dalla California a metà ‘800, e che svettano su una stradina di montagna. E così gli Agrifogli e i Tassi della foresta Umbra, il Pino Cembro del Passo del Manghen, ma anche lui, il del giardino, arrivato dall’Austria quando è nata la nostra piccola Shanti.
Questa preparazione è il catalizzatore delle estrazioni di corteccia, gemma, fiore e frutto. Il “vuoto pieno” attorno al quale i quattro elementi tessono la vita che si mostra e di cui facciamo esperienza. Ci siamo resi conto solo un po’ alla volta dell’importanza di questo quinto preparato. La preparazione durante una notte di plenilunio integra nel messaggio dell’albero due aspetti che generalmente mancano nei preparati erboristici: la notte e la luna. La notte rappresenta quello che non vediamo, l’inconscio, le nostre parti più profonde, mentre la luna rappresenta il principio femminile. Grazie a questi due aspetti lo Spirito degli Alberi arriva molto in profondità e riesce a comunicare meglio con la nostra parte femminile.
Per ottenere la Madre dello Spirito degli Alberi si mescolano insieme i 5 preparati in parti uguali e si agitano bene. In seguito la madre verrà diluita per ottenere i preparati.
Le Gocce sono una diluizione di 1 a 240 della madre dello Spirito degli Alberi. Come diluente si usa una miscela composta da 74 ml di acqua pura e 26 ml di alcol buongusto 96°, corrispondente a un grado alcolico di circa 25%. Per preparare una boccetta di 30 ml di Gocce si mettono 3 gocce dello Spirito madre di un albero insieme a 30 ml di miscela, composta da acqua e alcool. Poi si agita bene tutto.
Il Soffio è una preparazione più complessa rispetto alle Gocce. È composto oltre che dallo Spirito madre, anche da acqua di rosa, idrolato di una parte dell’albero, alcol buongusto e oli essenziali integrali. Gli oli essenziali variano a secondo l’albero; vengono scelti quelli che hanno qualità a lui simili. Noi ci facciamo ispirare dall’albero stesso nella scelta e il nostro lavoro, in questo caso, consiste solo nel trovare i rapporti giusti tra i vari oli essenziali.
Il rapporto fra i vari ingredienti è il seguente:
Si sciolgono bene gli oli essenziali nell’alcol, si aggiungono le acque aromatiche e alla fine lo Spirito madre. Quindi si agita tutto per bene e si fa maturare per almeno 2-3 settimane.
Tratto da "Incontri con lo Spirito degli Alberi - Messaggi dalla foresta" di Lucilla Satanassi e Hubert Bosch, Humusedizioni 2019
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